Descrizione
In un libretto su una strage di stato a ridosso della rivoluzione siciliana del 1848, pubblicato qualche anno fa (monografia storica, ma scritta con la grazia e l’umorismo del narratore), Camilleri ripeteva un’idea a lui evidentemente molto cara. Che i siciliani sono “tragediatori”, sono paghi cioè soltanto quando possono finalmente fondere insieme la vita e la scena, recitare, appunto sulla scena della vita, ciò che succede loro veramente tornando in illusione a comandare sulla sorte e mutandola in sogno. Di questo teatro della vita Camilleri mostra di amare soprattutto il lato di commedia; e commedia – racconto della commedia che un paese siciliano di fine Ottocento inscena vivendo una catena di morti e un amore cocciuto – è “La stagione della caccia”. Ma non commedia dell’arte, farsa di macchiette; al contrario, genere alto, in cui ciascuna delle parti in gioco è un personaggio scolpito – con un brio che dà tenace divertimento – nell’atto in cui svolge il suo gioco delle parti. Camilleri spiega di aver tratto l’idea del romanzo (che avrebbe potuto essere piegato linearmente a intrigo giallo, e lo è invece a sorpresa, tortuosamente) da una battuta registrata nella famosa “Inchiesta sulle condizioni della Sicilia” del 1876. All’interrogante, che chiedeva se si fossero verificati fatti di sangue in un paesino, veniva risposto: “No. Fatta eccezione del farmacista che per amore ha ammazzato sette persone”. Come a dire: non è successo nient’altro che un sogno. Il sogno che questo libro viene a raccontare.
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